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Tanzania bianchi da morire di Sibylla Pace
Pubblicato su Il Manifesto il 12 agosto 2011
 

ALBINI, LA MALEDIZIONE DELLA PELLE CHIARA Per chi è affetto da albinismo in Africa la vita è durissima. A causa di vecchi pregiudizi e discriminazioni si rischia di venire uccisi, per odio del diverso ma anche per fabbricare amuleti che vengono poi utilizzati nelle pratiche magiche. Una ricerca a Shinyanga

SHINYANGA (TANZANIA). Sotto il cappello beige a tesa larga si nasconde un viso sorridente e cordiale. Ogni giorno Lazaro Anael percorre in bicicletta dodici chilometri per andare in ufficio e altrettanti per tornare a casa. Dal torrido sole della Tanzania si difende con pantaloni e camicie a maniche lunghe: la sua bianca pelle di albino è molto delicata e pericolosamente esposta al tumore, se non protetta in maniera adeguata.

Per gli albini africani, dal colore della pelle così diverso dal resto della popolazione, la vita è durissima, impigliata in un groviglio di pregiudizi e discriminazioni. Difficile trovare lavoro o metter su famiglia. Rischiano di venire uccisi, per odio del diverso ma anche per fabbricare amuleti, come dimostra il ritrovamento di cadaveri mutilati.
«Sono 57 gli omicidi di albini documentati ufficialmente tra l'inizio del 2007 e il maggio del 2010», ci racconta Lazaro all'ombra del dimesso ufficio della Tanzania Albino Society (Tas) nel centro di Shinyanga, una città di 100mila abitanti nel nord-ovest del paese. «Genitali di albini, capelli, ossa, sangue e molte altre parti del corpo - continua a raccontarci carezzando i suoi corti capelli, biondi e crespi - sarebbero, a detta di alcuni, gli ingredienti necessari per ottenere salute, ricchezza e successo nella vita e nel lavoro».
Sono le voci messe in giro da sedicenti guaritori tradizionali, additati tra i principali istigatori dei massacri. «Pare che adesso gli omicidi siano in calo e non mi sento più minacciato. Fino a qualche anno fa, invece, mi facevo scortare ovunque da un mio amico».

Precauzioni per la salute
Lazaro, 34 anni, padre di cinque bambini che da lui hanno ereditato la forma del viso, ma non il colore della pelle, è il segretario della sede locale della Tas. L'organizzazione, estesa a livello nazionale, è impegnata nel promuovere seminari per sensibilizzare e informare la popolazione, albina e non. «Non sempre chi è affetto da albinismo conosce le precauzioni da adottare per tutelare la propria salute. A volte i genitori neanche mandano i figli albini a scuola.
Lo stato, poi, non aiuta: le creme solari, per esempio, hanno costi talmente elevati - intorno ai 40mila scellini (l'equivalente di 20 euro) - che pochi se le possono permettere, quando le trovano». Dalla metà di novembre 2010 alla fine di gennaio 2011 ho collaborato - insieme a un'altra volontaria austriaca - con la Tas di Shinyanga, che mi ha accolta sebbene io non avessi alcuna specifica competenza in materia di albinismo. Avevamo il compito di intervistare rappresentanti della cittadinanza - tra gli altri, politici del posto, pastori evangelici, guaritori, studenti, maestri, infermieri, casalinghe - per cercare di capire quale percezione dell'albinismo abbia la popolazione locale. Le interviste sono state condotte in swahili e per me tradotte simultaneamente in inglese da un membro dell'associazione, che ha svolto la ricerca insieme a noi.
«In passato - racconta Kathrine a mani raccolte - si credeva che dare alla luce un bambino albino fosse una maledizione: i neonati venivano uccisi, o lasciati chiusi in casa». Kathrine è una delle 60 persone che abbiamo intervistato: una donna alta, dal volto austero ma cordiale.
«Oggi questa pratica brutale non è più così diffusa come un tempo, dato l'aumento delle nascite negli ospedali». È elegante nell'ampia camicia, scura quasi quanto la sua pelle, e nella lunga gonna coperta dal tradizionale kanga, un telo, il suo, decorato a motivi floreali. La casa, di un marrone chiaro, sembra enorme rispetto alle altre abitazioni della zona. Rami secchi a formare una siepe che a mala pena si può definire tale, circondano la proprietà. Kathrine ci accoglie con un caloroso «Karibuni», benvenuti! Le formalità, in Tanzania, sono d'obbligo, ma assolutamente non forzate.
Ai convenevoli seguono le presentazioni: casalinga, originaria di Mwanza sul lago Vittoria, a circa 150 chilometri di distanza da Shinyanga, ha conseguito - presumo alla fine degli anni cinquanta - la licenza di scuola media. La sua voce pacata riempie la stanza, già colma di peluche e di immagini di Gesù e del papa alle pareti. «Le cellule degli albini sono 'incomplete' - così descrive l'anomalia genetica - e per questo pelle e labbra sono piene di ferite e di macchie. Ci vedono molto poco e perciò spesso hanno problemi a scuola. La colpa è anche degli insegnanti che non sanno come reagire. Ma non è una malattia, sono così per volere di Dio: esseri umani come tutti noi, dotati d'intelligenza».
Nonostante l'albinismo non sia infrequente in Tanzania, ben pochi tra i nostri interlocutori hanno mostrato di sapere che si tratta di una condizione genetica ereditaria: la mancanza - parziale o totale - di melanina rende pelle, iride e capelli molto chiari e sensibili ai raggi del sole. L'Organizzazione mondiale della sanità stima che, su 43,7 milioni di abitanti in Tanzania, 170mila sarebbero affetti da albinismo, uno ogni 257 abitanti. Questo stato dell'Africa orientale avrebbe così una delle più alte concentrazioni di albini al mondo.

Vivere nascondendosi
«Ancora oggi, specialmente nelle zone rurali, gli albini tendono - per paura e per vergogna - a vivere nascondendosi. A volte sono gli stessi genitori a tenerli chiusi in casa o addirittura a ucciderli, per guadagnarci qualche soldo. Non manca solo la religione, anche l'istruzione».
Mentre Kathrine parla, i miei occhi scrutano, discreti e curiosi, l'interno della sitting room.
Cuscini rosa, un palloncino con la scritta Pepsi appeso al soffitto di lamiera, qualche quaderno e qualche Bibbia impolverata fanno da sfondo alla nostra chiacchierata. Se non fossimo a Mwasele, nella periferia rurale di Shinyanga, non mi stupirei di trovare prese di corrente in casa. Questa zona, però, non è ancora collegata alla rete elettrica, e la risposta alla mia perplessità mi stupisce ancor di più: la signora si serve di pannelli solari. «Il problema è che ignoranza e superstizione sono ancora oggi radicati in ogni strato della società. La gente cerca scorciatoie per arricchirsi e avere successo: lo stesso signor M., un politico di Mwanza, ha fatto uccidere molti albini. La vicenda è stata archiviata e pare che anche la polizia sia invischiata nei traffici; non c'è da stupirsi se molti casi restano irrisolti».
I pregiudizi, aggiunge Kathrine, sono particolarmente tenaci nelle aree rurali: «Se una donna, specialmente in campagna, partorisce dal nulla un bimbo albino, la gente mormora. E non è escluso che possa avere problemi col marito». Prima di andarcene, Kathrine ci offre un tè, curiosa di sapere come si vive in Europa e cosa pensiamo noi della vita in Africa. Rimane stupita, forse dispiaciuta e dapprima un po' incredula, nel sentire che anche in Italia i politici sono corrotti. Poi ci accompagna alla porta. I ringraziamenti, i saluti e l'invito a tornare fanno eco alle formalità iniziali. Mentre ci allontaniamo, lancio un ultimo sguardo alla casa. Quei due piccoli pannelli solari, sul tetto di lamiera, sembrano quasi fiori nel deserto.
In un altro sobborgo di Shinyanga incontriamo Deo, commerciante di articoli per la casa.
Seduto a gambe distese sulla bianca sedia di plastica in un angolo del cortile, guarda sua moglie intenta a cucinare un grande pesce. Deo taglia fiero un pezzo dell'enorme pianta di aloe che ci cresce accanto e la immerge in una ciotola piena d'acqua, in attesa che se ne possa bere il succo. «Sono i guaritori a spingere i clienti a assoldare gli assassini di albini tra la povera gente, abbagliata da quel poco denaro che può guadagnarci. Una volta ottenute le diverse parti del corpo, gli stregoni ne ricavano pozioni che rivendono a caro prezzo». Con un mestolo assaggia l'amara acqua del succo, camuffa una smorfia e prosegue: «Proprio nelle regioni di Shinyanga e di Mwanza è stato rilevato uno dei tassi più elevati di omicidi. Qui, a pochi chilometri di distanza, si trova una delle principali miniere di diamanti del mondo; da Mwanza, invece proviene tutto il pesce che si mangia in zona». Talismani e unguenti sarebbero molto ambiti non solo dai politici, ma anche tra pescatori e minatori, per la loro propagandata capacità di propiziare il «raccolto».
«Il governo fa qualcosa - continua Deo - tra l'altro il presidente ha nominato una donna albina membro del parlamento, ma dovrebbe fare di più. Per tutelare gli albini bisognerebbe piuttosto combattere la povertà, informare, educare le famiglie, gli insegnanti. In questa zona gli albini vengono ancora chiamati mbilimwilu, capre bianche, senza che ci si renda conto della connotazione dispregiativa del termine».
Sua figlia Happy, diciott'anni appena compiuti, è a casa per le vacanze estive. Durante l'anno abita a Mwanza, dove va a scuola: «Una vecchia signora mi ha raccontato che quando un albino viene ucciso, il suo corpo secerne un olio che si può usare per volare e per diventare invisibili. Addirittura si dice che gli albini spariscano nel nulla invece di morire e che di notte ci vedano come i gatti». Lo sguardo vispo della ragazza manifesta un certo sdegno: «Se incontri un albino per strada devi sputarti sul petto per evitare a tua volta di avere un figlio albino. Ma io non ci credo».

DALLA STRADA AL PALAZZO
Una scia di sangue molto redditizia E le «capre bianche» vanno in parlamento

Tra le decine di albini che negli ultimi anni rimasti vittime del pregiudizio in Tanzania ci sono molti bambini. Il più piccolo aveva appena 6 mesi. È raro che gli assassini vengano assicurati alla giustizia, ma nel settembre 2009 tre uomini sono stati condannati a morte per aver rapito e ucciso il 14enne Matatizo Dunia; i tre hanno ammesso che intendevano vendere parti del suo corpo agli stregoni. Pochi mesi prima Naimana Daudi, una bimba di appena 4 anni, era stata uccisa e orrendamente mutilata. Ci sono anche casi come quello del 41enne Said Abdallah, che ha perso un braccio ma è sopravvissuto al machete.

La politica lentamente si attrezza. Oltre a Al-Shaymaa Kwegyir, entrata in parlamento nel 2008 a seguito della nomina da parte del presidente Jakaya Kikwete, un altro albino gode dello status di deputato. Si chiama Salum Khalfan Barwany ed è stato eletto dalla gente, attraverso regolari elezioni, nel novembre 2010, grazie anche alle campagne di sensibilizzazione messe in campo per contrastare gli omicidi rituali. Barwany, seduto sui banchi dell'opposizione, ha denunciato pedinamenti e minacce di morte che la polizia di Sar es Salaam ha giudicato attendibili. «La mia priorità sarà combattere per i diritti degli albini, e di tutte le persone con handicap, come chi ha problemi alla vista o all'udito» ha detto Barwany dopo essere stato eletto. «Chiederò al governo di educare i cittadini sul pregiudizio che si possa diventare ricchi possedendo parti del corpo di albini. Dobbiamo essere riconosciuti come arte della società e poter vivere come gli altri esseri umani».



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