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Candidamente… albini di Simone Fanti
Pubblicato su Corriere della Sera.it - Blog - Invisibili il 22 giugno 2012
 

Mai incontrato una persona albina? Vi pongo questa domanda per una vicenda che mi è capitata qualche settimana fa quando via mail mi giunse la richiesta, da parte dello staff del portale web Albinismo.eu (il 7 luglio a Roma la convention nazionale), per scrivere la presentazione di un libro proprio su questo tema. Mi incuriosì, forse perché qualche giorno prima avevo letto la notizia che a Palermo da una coppia di colore era nato un figlio bianco albino. Decisi di contattarli. Ma cosa sapevo in realtà su queste persone? Poco o pochissimo l’ammetto. Sapevo vagamente che era causato da un’anomalia genetica, che questa mutazione porta alla scarsa produzione di melanina e quindi a pelle bianchissima e capelli biondo cenere se non bianchi e a forti difficoltà visive che da ignorante consideravo il vero handicap. Ma non era così.

Poteva l’essere troppo bianchi portare a forme di isolamento da parte della società? Forse in società tribali africane, ma – pensavo – non in Italia. Qualche forma di isolamento persiste, soprattutto tra le persone meno acculturate», spiega Isabella Macchiarulo del portale Albinismo.eu, «certo l’handicap visivo preclude molte strade, anche lavorative, ma ne lascia aperte molte altre, comunque oggi la diagnosi precoce dell’anomalia, permette di gestire fin dall’inizio alcuni problemi». Così perso nelle mie riflessioni, mi faccio convincere a leggere il libro.

La bozza del libro arriva via mail e comincio a sfogliarlo, leggendo da principio i curriculum vitae degli autori, tutti medici affermati ed esperti della materia. Chiamo Maria Cristina Patrosso, genetista responsabile del progetto Diagnosi differenziale di albinismo oculare ed oculocutaneo nella popolazione italiana presso la Struttura di genetica medica e di Oculistica pediatrica del Niguarda Ca’ Granda, che mi spiega che «Il paziente albino ha due problematiche importanti: da un lato la sua pelle è priva di melanina e quindi più esposta ai raggi del sole dannosi per la pelle – l’incidenza del tumore della pelle (in particolare il carcinoma squamocellulare) è più elevata nel corso degli anni rispetto alla media nazionale – dall’altro la traslucenza iridea porta a un visus molto ridotto». Che tradotto significa una vista ridotta al lumicino.

Non procedo oltre nelle spiegazioni scientifiche che lascio agli esperti e ad altre sezioni del giornale, ma torno all’indice del libro e lo scorro alla ricerca – deformazione professionale da quando lavoro ad Ok Salute e Benessere – di ciò che più mi affascina: le storie delle persone.

Becero voyerismo? No intima consapevolezza che una malattia porta con sé mille rivoli di umanità. E sono quelli di cui sono “ghiotto”. Ed ecco, che tra le pagine del libro, incontro Vincenzo che con immensa semplicità racconta la storia della sua infanzia in Sicilia, del suo primo anno di scuola, in cui non conoscendo la sue difficoltà visive la maestra lo mise in ultima fila (con il risultato delle bocciatura). «A quel tempo soffrivo moltissimo», confessa Vincenzo, «a undici anni iniziai a tingermi i capelli con il consenso della mia famiglia. Consenso che alimentava sempre più complessi e fantasmi: non doveva esserci ricrescita bianca e la tinta la rifacevo anche solo dopo venti giorni dall’ultima. Mi tingevo anche le sopracciglia». Un gesto, a mio avviso, sintomatico della sensazione di sentirsi diversi e poco accettati dalla società. Una sensazione che si legge chiara nel racconto di una donna, una mamma vecchio stile, così preferisce firmarsi, che racconta «ai miei tempi gli albini sembravano provenire da un altro pianeta: sguardi insistenti e risolini erano all’ordine del giorno».

Sembrano storie di anni fa, ma non è così. Silvana, madre di una bimba di 7 anni spiega cosa significa essere madri di una bimba albina nel XXI secolo: «all’inizio è stata dura e a volte lo è ancora… quando portavo Ilenia (la figlia di 7 anni, n.d.r.) nel passeggino tentavo incosciamente di nasconderla dagli sguardi altrui per non sentire le cattiverie delle persone. Adesso so che è ignoranza, ma all’epoca per me erano cattiverie e facevano male, molto male…». E torno a chiedermi perché un mondo come il nostro non sia in grado di vedere la diversità come una ricchezza… e rubando la battuta a Isabella vi mando un candido saluto.

Corriere della Sera.it - Blog - Invisibili



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